girl using VR goggles
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È cambiato e sta cambiando tutto intorno a noi: la chiamano rivoluzione digitale. Siamo pronti? Sicuramente talvolta nemmeno non siamo neppure consapevoli dei cambiamenti che stiamo vivendo.

È il registro digitale, è il social network di nuova generazione, è l’applicazione che ci consente di seguire nostro figlio nei suoi spostamenti. È uno strumento che, come tale, può essere utilizzato in maniera costruttiva o in maniera distruttiva, ma come poterlo spiegare a bambini e adolescenti? Come proteggerli e lasciarli liberi, allo stesso tempo, di sperimentare tutte le potenzialità di questo “nuovo mondo”?

Da dove partire per accompagnare i nativi digitali?

Uppa, casa editrice specializzata in infanzia e genitorialità, ci viene in aiuto con un testo in grado di darci dei consigli su come comportarci. “I nativi digitali non esistono. Educare a un uso consapevole, creativo e responsabile dei media digitali”, di Cosimo Di Bari, che afferma: “Non esistono media educativi o diseducativi in sé (né analogici né digitali), ma esiste la Media Education, che offre ai genitori una possibile strada per costruire insieme a bambini e ragazzi una dieta mediale sana”. Cosa che si può fare approfondendo le tematiche su cosa eventualmente vietare, come sorvegliare e soprattutto accompagnare i bambini nel rapporto con i media, nell’uso consapevole, nella definizione di regole e ruoli e utilizzando i giusti spunti operativi per giocare, sperimentare e riflettere.

boy playing at laptop inside room

Salendo con l’età aumentano esposizione e pericoli legati allo strumento. I nativi digitali superano di molto, nella capacità di utilizzo del web e del digitale, i propri genitori e questo li espone maggiormente ai rischi, soprattutto in considerazione dell’utilizzo di smartphone e device nei rapporti sociali con i coetanei. Spesso sono gli adulti a essere inconsapevoli riguardo al media e per questo può venire in aiuto Twenge con il suo libro Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti“.

Un approfondimento, un’analisi anche cruda, in cui si vede quanto l’immaturità guidi gli adolescenti, immaturità data proprio dalla mancanza di esperienze nella vita vera, quella in cui si fanno goffi tentativi delle prime volte, a scuola, a casa, in piazza, nelle relazioni personali, familiare e nelle gerarchie. L’attenzione dell’autrice è focalizzata più che sull’uso e abuso dei social da parte degli iGen sulle conseguenze dell’iper-esposizione alla luce blu, in termini di comportamenti privati e collettivi, abilità sociali, rischi inerenti la salute mentale generale e, dunque, di stabilità socio-economica.

Citando Alessandra Reccia, che riassume e rielabora il testo: “Da un lato, quindi, difficoltà o, in alcuni casi, incapacità di interazione, tendenza a prolungare l’infanzia, ritardo nell’affrontare le esperienze tipiche dell’adolescenza (dal possesso delle chiavi di casa, all’autonomia negli spostamenti, dal fumo all’alcool, alle prime esperienze sessuali), angoscia relazionata alla prospettiva di crescere ed essere autosufficienti. Dall’altro, senso di insoddisfazione, di vuoto, dipendenza fisica ed emotiva dai social, insicurezza costante nei confronti del mondo circostante, paura degli altri, solitudine, cyberbullismo, depressione.”

Questa mancanza di contatto con la vita reale rende ragazzi e ragazze infantili e per tanti aspetti fragili. Gli adulti di riferimento hanno il compito di aiutarli non solo a comprendere il mondo ma incentivarli a provarlo sulla loro pelle perché questi adolescenti sapranno indirizzare le proprie capacità al progresso economico sociale e alle magnifiche sorti progressive del capitalismo occidentale.

“Gli iGen – si legge nel libro – hanno tra i lori punti di forza un forte spirito pratico, che se unito all’importanza che danno al concetto di sicurezza – ovviamente emendato degli aspetti patologici che attualmente presenta – potrebbe contribuire alla formazione di un modello positivo di cittadino e lavoratore del futuro.”

Il consiglio generale della sociologa autrice è quello di lavorare sul senso di sicurezza e sulle abilità sociali di base, tra cui la relazione tra pari, incitando le famiglie a favorire gli incontri con i coetanei, a far praticare sport e ad educare a gestire il tempo/schermo. Agli insegnanti di ogni ordine e grado si chiede di riformulare il sistema di trasferimento delle informazioni e delle conoscenze, attraverso lezioni più brevi, avvincenti e ricche di effetti speciali e di rieducare al confronto tra opinioni e idee, a cui i ragazzi non sono più abituati. 

Due spunti riflessivi davvero importanti per essere genitori/educatori consapevoli immersi nel proprio tempo.

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Nativi Digitali: come educarli ai media?