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Aaron Swartz oggi avrebbe la mia età. Trentasette anni a novembre. Ma la sua vita è terminata dieci anni fa, nel 2013, a soli 27 anni, perché, può capitare che questo mondo ci schiacci.

Non è mancato per un incidente o una drammatica fatalità. Aaron Swartz ha deciso di togliersi la vita.

Oggi è un simbolo, l’eroe delle libertà digitali e forse proprio a lui dobbiamo più di quello che immaginiamo, se è vero che oggi utilizziamo programmi come Linux, Firefox, VLC, Gimp, 7-Zip, OpenOffice, LibreOffice, Rufus ecc. nella nostra quotidianità lavorativa e non solo.

Per chi non conoscesse la sua storia nel dettaglio rimandiamo al documentario The Internet’s Own Boy: The Story of Aaron Swartz, scritto, diretto e prodotto da  Brian Knappenberger. Possiamo dire che questo ragazzo, geniale per una serie di motivi, dopo aver lavorato al codice sorgente delle licenze Creative Commons, aver sperimentato startup di successo e aver partecipato a iniziative volte a esercitare pressioni sul Congresso degli Stati Uniti per la tutela della libertà d’espressione online, è stato in grado di hackerare il database di articoli accademici di JSTOR.

Questo gli ha comportato una causa legale da parte del procuratore del Massachussetts per violazione di informazioni private, che Swartz ha reso di possesso pubblico. Alla fine, schiacciato dalle accuse di appropriazione indebita, appesantito dai processi, ma soprattutto in lotta perché impossibilitato a difendersi contro i “poteri forti”, si è ucciso. Non per paura, non per vigliaccheria, non per il timore di passare la vita in una cella. Probabilmente per una forma di coerenza, una presa di posizione estrema che vede un macabro sillogismo: così come ha reso pubblici documenti riservati in virtù della libera conoscenza, allo stesso modo si è tolto la vita per liberarsi dal sistema, dal potere, che decide per noi e che ci limita. La libertà, di qualsiasi tipo, è il valore per cui combattere e soccombere.

Citandone i genitori: «Ha usato le sue prodigiose abilità di programmatore e tecnologo non per arricchire sé stesso, ma per rendere Internet e il mondo un posto più giusto e migliore». Un mondo aperto a tutti, un mondo di conoscenza condivisa, di cultura, di consapevolezza.

Uno dei progetti più importanti dei suoi ultimi anni di vita è stato quello di creare un sistema che consentisse, sia da un punto di vista della security, sia dal punto di vista dell’anonimato, di comunicare informazioni o trasmettere documenti in un contesto “ostile”, ossia a rischio di sorveglianza e controllo da parte del Governo o di terzi. È nato così SecureDrop, un sistema di protezione delle fonti giornalistiche ma, in realtà, un intero ambiente informatico sicuro che elimina completamente le terze parti: il giornalista e la fonte comunicano esclusivamente attraverso un server che il quotidiano possiede e che si trova in locali di sua proprietà. I dati esterni – ossia i dati di traffico, le durate delle comunicazioni, il mittente e il destinatario di una chiamata, di una e-mail o di un messaggio – sono ben più importanti dei contenuti stessi delle conversazioni e Swartz si accorge, in tempi non sospetti, quanto importanti possano essere i dati legati alla privacy, argomento a lungo discusso oggi nella cittadinanza digitale. La creazione di tool in grado di proteggere il singolo e le comunicazioni private dei cittadini dal controllo dei Governi diventa, infatti, la sfida del nuovo decennio, anticipata proprio da colui che rischiava di perdere ogni libertà e che lo ha portato a compiere l’atto di liberazione estremo: quello di decidere se vivere o scomparire.

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Aaron Swartz, la libertà di scomparire